La meravigliosa realtà delle cose E la mia scoperta di tutti i giorni. Ogni cosa é ciò che é, E' difficile spiegare a qualcuno come ciò mi rallegri, E quanto mi basti.
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Un giorno di pioggia è bello come un giorno di sole. Entrambi esistono, ognuno è come è.
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Non ho fretta. Fretta di cosa? Non hanno fretta il sole e la luna: sono esatti. Avere fretta è come credere di camminare oltre le gambe O, con un balzo, saltare al di sopra dell’ombra. No; non ho fretta. Se allungo il braccio, raggiungo esattamente il punto che il mio braccio raggiunge – Non un centimetro oltre. Tocco solo dove tocco, non dove penso. Posso sedermi soltanto dove sto. E ciò fa sorridere come tutte le verità assolutamente vere. Ma quel che fa ridere a crepapelle è che noi pensiamo sempre ad un’altra cosa, E siamo vagabondi del nostro corpo.
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Come un bambino prima che gli insegnassero ad essere grande, Fui autentico e leale a ciò che vidi e sentii.
"In lak’ ech" (Io Sono Un Altro Te) è un saluto che esprime il concetto di fratellanza. I Maya avevano compreso bene che alla base di ogni rapporto ci deve essere connessione, ma soprattutto riuscivano a “vedere” nell’altro solo una manifestazione diversa della stessa Fonte. Quando dico altro non mi riferisco solo ad un essere umano, intendo dire qualsiasi essere vivente, un animale, un albero, un corso d’acqua.
Grazie a Thomas Torelli, regista e produttore del Film ‘Another World’ che mi ha fatto scoprire questa espressione
XXVII domenica del tempo Ordinario, anno B, 4
ottobre 2015 Mc 10,2-16
"E avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla
prova, gli domandarono: "È lecito ad un marito ripudiare la propria
moglie?".Ma egli
rispose loro: "Che cosa vi ha ordinato Mosè?".Dissero: "Mosè ha permesso
di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla".
Gesù disse loro: "Per la durezza del vostro
cuore egli scrisse per voi questa norma.Ma
all'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina;per questo l'uomo lascerà suo
padre e sua madre e i due saranno una carne sola.Sicché non sono più due, ma una
sola carne.L'uomo dunque
non separi ciò che Dio ha congiunto".Rientrati
a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli
disse: "Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette
adulterio contro di lei;se
la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio".
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"Ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea... Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: "Non hanno più vino". E Gesù rispose: "Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora".La madre dice ai servi: "Fate quello che vi dirà".Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: "Riempite d'acqua le giare"; e le riempirono fino all'orlo.Disse loro di nuovo: "Ora attingete e portatene al maestro di tavola". Ed essi gliene portarono. E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo e gli disse: "Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un pò brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono".Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui". (Giov 2, 1-11)
Ho pensato che per comprendere l’impegnativa pagina
del vangelo proclamato nella liturgia di questa domenica, dove si parla di divorzio,
fosse necessario ampliare lo sguardo. Soffermarsi solamente sulle parole
strettamente riportate, pur esigenti e vincolanti, sembra non lasciare scampo
alla nostra condizione umana segnata dalla fragilità, con l’unica strada
percorribile che sia quella della rigidità, oppure di un ricorso ad un aiuto
superiore che invano tarda a venire.
Così
accosterei volentieri il vangelo di oggi ad un’altra mirabile pagina riportata
nel quarto vangelo che tutti conoscono col titolo di Nozze di Cana. Qui aleggia
un clima ben diverso: festa invece che contesa e gioia perché il vino non
finisce (“tu hai conservato il vino buono fino ad ora”). Le nozze di Cana non
sono un miracolo. Sono il segno che il Messia è arrivato per unirsi alla nuova
comunità (la donna e i discepoli che fanno ‘tutto quello che lui vi dirà’). E’
una realtà nuova e le nozze che si fanno a Cana ne sono il segno/simbolo. Il
vino non adulterato fluisce per suggellare questa alleanza nuova, inaspettata,
e per questo si dice che i discepoli, visto l’inizio di tutti i segni che Gesù
farà, cominciano a credere in lui. Cominciano, non sono per niente arrivati.
E
non ci si sente arrivati neanche a leggere le parole di oggi: “Ma all'inizio della creazione Dio li creò
maschio e femmina;per
questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola.Sicché non sono più due, ma una sola
carne. L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto".
E’ un inizio, un progetto e un impegno e chi l’ha
provato lo sa. Come sa la fatica che si fa a portare avanti una relazione così
impegnativa. E spesso si è fragili. Non lo furono già Adamo ed Eva, o Caino e
giù fino a noi? “Chi ripudia la
propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei” non richiama forse quel vino poco buono che tutti si
aspettavano a Cana, che invece non è arrivato?
Ampliare dunque lo sguardo per non lasciarsi
vincere dallo sconforto o dalle paure che l’io ci veicola. Capire che non viviamo sotto il giudizio di Dio. Le
nozze di Cana stanno lì a significare che Qualcuno viene incontro a noi non per
giudicare, ma per rinnovare un vincolo di puro amore, dove la misericordia ne è
la cifra.
Papa Francesco indicendo l’anno della
Misericordia ha rispolverato le vecchie parole di papa Giovanni XXIII
all’apertura del Concilio: “Ora la Sposa di Cristo preferisce usare la
medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore”. E dopo aver ricordato che il Dio della Bibbia
è “paziente e misericordioso”, chiosa così: “La misericordia nella Sacra
Scrittura è la parola-chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi. Egli non
si limita ad affermare il suo amore, ma lo rende visibile e tangibile. L’amore,
d’altronde, non potrebbe mai essere una parola astratta. Per sua stessa natura
è vita concreta: intenzioni, atteggiamenti, comportamenti che si verificano
nell’agire quotidiano. La misericordia di Dio è la sua responsabilità per noi.
Lui si sente responsabile, cioè desidera il nostro bene e vuole vederci felici,
colmi di gioia e sereni. È sulla stessa lunghezza d’onda che si deve orientare
l’amore misericordioso dei cristiani. Come ama il Padre così amano i figli.
Come è misericordioso Lui, così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi,
gli uni verso gli altri”.
In questo tempo di vendemmia un po’ di vino buono
ci vuole J